venerdì 27 luglio 2018

Un libro del cuore: Canto della pianura, Kent Haruf

Ci sono libri letti per caso e dei quali poi ci si innamora, immediatamente. A volte senza nemmeno capire per quale motivo proprio quel romanzo è arrivato dove altri libri magari più belli, famosi o avvincenti hanno fallito. Alla fine, a rendere un libro speciale, è la sua capacità di far vibrare quelle corde dell'anima di cui parlavamo nel primo articolo dedicato ai nostri libri del cuore (clicca qui per leggere l'articolo).
A me è capitato con Haruf, dopo aver letto Canto della pianura. Lo consiglio a chi odia il frastuono o a chi desidera prendersi una pausa dal caos quotidiano in cui siamo immersi, costretti a ritmi di vita frenetici e letture veloci - di social network, siti web, giornali - spizzicate nei dieci/quindici minuti di una pausa o durante un'attività alla quale non riusciamo più a dedicare tutta la nostra attenzione (tipo guidare?!). In un mondo che grida, Haruf sussurra. 


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TRAMA:
Il romanzo è ambientato nella fittizia cittadina di Holt, Colorado. Le vite di più personaggi si intrecciano e si susseguono nella narrazione: Tom Guthrie, insegnante di storia al liceo che si occupa da solo dei suoi bambini Ike e Bobby, sua moglie, che soffre di depressione e non riesce a prendersi cura dei figli, Victoria Roubideaux, una sedicenne che scopre di essere incinta e viene cacciata dalla madre, i fratelli McPheron, una solitaria coppia di anziani allevatori di bestiame, che hanno dedicato la loro vita alle vacche e faticano a relazionarsi con gli altri. Le storie descritte sono accomunate dal tema dell'abbandono e mostrano come sia possibile, a volte, instaurare con estranei, legami affettivi più forti di quelli familiari.

PERCHÉ LEGGERE "CANTO DELLA PIANURA" 
Ho amato l'ambientazione del romanzo: la desolante pianura americana, ricca di allevamenti di bestiame e di cavalli. Un ambiente provinciale duro, così ben rappresentato dalla penna dell'autore che riduce all'osso le frasi, paralizza il tempo, come se volesse farci sentire il silenzio della natura e della cittadina che fa da sfondo alle azioni dei personaggi: il vento che soffia forte, le case in legno che cigolano, i lampioni giallastri che ronzano la sera, le vacche che ruminano.

L'ambiente scarno rappresenta un ottimo sfondo alle manifestazioni dei sentimenti, non importa se positivi o negativi, comunque sempre caratterizzati dalla stessa crudezza: il rifiuto della madre di rimanere accanto a Victoria, il disperato tentativo da parte di Ike e Bobby di aiutare la loro mamma depressa o la tenerezza dei vecchi e burberi allevatori nell'accudire la ragazza incinta.

In particolare, i fratelli Mc Pheron e Maggie Jones mi hanno proprio conquistata. Tre personaggi buoni e semplici: gli anziani fratelli tenerissimi nella loro maniera impacciata di aprirsi all'affetto e alla vita e Maggie una donna forte e pratica; tutti pronti a fare del bene, senza un minimo di esitazione.

Piccola curiosità: sono arrivata a questo romanzo per caso. Senza averlo letto l'ho consigliato ad un'amica, perché viene portato ad esempio nel libro "Curarsi con i libri. Rimedi letterari per ogni malanno" Ella Berthoud Susan Elderkin, Sellerio editore, alla voce ABBANDONO.
Tra l'altro, consiglio la lettura di questo manuale agli appassionati lettori sempre curiosi di scovare qualche nuova opera da leggere. L'edizione italiana è curata da Fabio Stassi (di cui abbiamo letto "La lettrice scomparsa" insieme al gruppo lettura), che ha aggiunto al testo originale qualche autore nostrano e qualche problematica tipica del nostro Paese. 

L'abbandono è un tema centrale di Canto della pianura...
(...) Mentre osserviamo la comunità che si anima e ben presto diventa una famiglia allargata (...) ci rendiamo conto di come il sostegno possa arrivare da luoghi assai sorprendenti.
Se ti interessano i "libri del cuore" del gruppo di lettura di Gavirate, basta seguire questi link:


sabato 21 luglio 2018

Cristo si è fermato a Eboli, Carlo Levi

Ecco un romanzo che sono davvero felice di aver letto lo scorso anno insieme al gruppo lettura. Lo considero una lettura impegnativa, che mi sento comunque di consigliare a tutti sia per la scrittura sublime di Carlo Levi (chiunque sia in grado di leggere un testo in italiano non dovrebbe perderselo!), sia per il tema trattato: ricco di intuizioni sulla realtà del sud Italia, che trovo - purtroppo - attualissime. Ne consiglierei in particolare la lettura ad ogni politico italiano, per lo sguardo intelligente e ben esposto sul nostro passato non troppo lontano.

Cristo si è fermato a Eboli è un romanzo autobiografico, pubblicato nel 1945.  L'autore, condannato per antifascismo, descrive nel libro la sua vita da confinato politico in un piccolo paese della Lucania durante gli anni 1935-1936. Grazie alla sua professione di medico, Levi entra immediatamente in contatto con i contadini del luogo, che a lui si affidano istintivamente e con il quale sentono di condividere la condizione di “vittima” dello Stato.

Aliano, casa di Carlo Levi (foto di Letizia, luglio 2018)

L'opera di Levi è in realtà più di un romanzo autobiografico: alla cronaca del soggiorno nel paese di Aliano (nel libro “Gagliano”, nome ripreso dal suono del dialetto locale), si alternano riflessioni personali, pagine in stile memoir, parti redatte sotto forma di saggio politico e sociologico.

Quello che più mi ha colpito in questo romanzo sono le descrizioni dei personaggi. Le parole utilizzate dall'autore-pittore Levi paiono pennellate precise, vigorose che offrono con esattezza al lettore una chiara e vivida immagine della persona descritta:

Don Luigi Magalone 
È un giovanotto alto, grosso e grasso, con un ciuffo di capelli neri e unti che gli piovono in disordine sulla fronte, un viso giallo e imberbe da luna piena, e degli occhietti neri e maligni, pieni di falsità e di soddisfazione.
Don Pasquale Cuscianna 
Era un vecchio grasso, pesante e sordo, goloso e avidissimo come un enorme baco da seta.
Giulia 
Fredda, impassibile e animalesca, la strega contadina era una serva fedele.

Dalla penna di Levi, emergono con evidenza:

- uno Stato assente, del quale i contadini diffidano perché “quelli di Roma non avevano l'abitudine di far qualcosa per loro”;
- una piccola borghesia che detiene il potere, ma lo utilizza solo a proprio favore. Secondo Levi questa piccola borghesia rappresenta il problema principale dei paesi rurali come Aliano e la descrive in questo modo nelle sue pagine:
(..) i signori, li avevo ormai fin troppo conosciuti, e sentivo con ribrezzo il contatto attaccaticcio della assurda tela di ragno della loro vita quotidiana; polveroso nodo senza mistero, di interessi, di passioni miserabili, di noia, di avida impotenza, e di miseria.
- una classe contadina forte e rassegnata, costretta a vivere in condizioni estreme, in balìa di una natura spietata, di una terra per lo più brulla, i cui unici campi da coltivare si trovano in piccole zone paludose infestate dalla malaria e i cui pochi frutti vengono tassati da uno Stato per il resto assente. Leggendo il libro è facile comprendere come mai questi contadini, che lottano quotidianamente per la sopravvivenza, siano più vicini al mondo animale e pagano che a quello organizzato della religione o dell'attività politica: per loro sovrana è la legge misteriosa e spietata della natura.
Tutto per i contadini, ha un doppio senso. La donna-vacca, l'uomo-lupo, il Barone-leone, la capra-diavolo non sono che immagini particolarmente fissate e rilevanti: ma ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità. La ragione soltanto ha un senso univoco, e, come lei, la religione e la storia. Ma il senso dell'esistenza, come quello dell'arte e del linguaggio e dell'amore, è molteplice, all'infinito. Nel mondo dei contadini non c'è posto per la ragione, per la religione e per la storia. Non c'è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolicamente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magia naturale. Anche le cerimonie della chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indifferenziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi del villaggio.

lunedì 16 luglio 2018

Un libro del cuore: Il berretto a sonagli, Luigi Pirandello

Oggi ospitiamo la recensione di Marco che ci porta uno dei suoi libri del cuore: "Il berretto a sonagli" di Luigi Pirandello. Come gruppo lettura, abbiamo letto l'opera teatrale proprio questo inverno, insieme al romanzo "Uno, nessuno e centomila". Prima di lasciare spazio a Marco, vi riporto un estratto da questa pièce in cui uno dei personaggi principali descrive la "teoria delle tre corde":
Ciampa: (...). Deve sapere che abbiamo tutti come tre corde d'orologio in testa. Con la mano destra chiusa come se tenesse tra l'indice e il pollice una chiavetta, fa l'atto di dare una mandata prima sulla tempia destra, poi in mezzo alla fronte, poi sulla tempia sinistra. La seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile; per cui sta qua, in mezzo alla fronte. - Ci mangeremmo tutti, signora mia, l'un l'altro, come tanti cani arrabbiati. - Non si può. - Io mi mangerei - per modo d'esempio - il signor Fifì. - Non si può. E che faccio allora? Do una giratina così alla corda civile e gli vado innanzi con cera sorridente, la mano protesa: - "Oh quanto m'è grato vedervi, caro il mio signor Fifì!". Capisce, signora? Ma può venire il momento che le acque s'intorbidano. E allora... allora io cerco, prima, di girare qua la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni, dire quattro e quattr'otto, senza tante storie, quello che devo. Che se poi non mi riesce in nessun modo, sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio!

Fifì: Benissimo! Benissimo! Bravo, Ciampa!
Ciampa: Lei, signora, in questo momento, mi perdoni, deve aver girato ben bene in sé - per gli affari suoi - (non voglio sapere) - o la corda seria o la corda pazza, che le fanno dentro un brontolio di cento calabroni! Intanto, vorrebbe parlare con me con la corda civile. Che ne segue? Ne segue che le parole che le escono di bocca sono sì della corda civile, ma vengono fuori stonate. Mi spiego? (...) 

TRAMA:
Opera teatrale in due atti. La scena intera si svolge in casa Fiorica.
La commedia inizia con Beatrice Fiorica che piange; l’intenzione della donna è di rendere pubblica la relazione di suo marito, il cavaliere Fiorica, con Nina, la moglie di Ciampa.
La signora Beatrice è comandata dalla gelosia, senza pensare alle conseguenze di tale gesto; Fana, servitrice di Beatrice e la Saracena tentano di dissuaderla, ma lei manda a chiamare il delegato Spanò e lo scrivano Ciampa, ignorando i loro ammonimenti.
Appare in scena Fifì che ignaro di ciò che sta accadendo capisce che la sorella sta tramando qualcosa ma non riesce a capire cosa; ad ogni modo Fifì restituisce i soldi alla sorella e con quei soldi Beatrice invia Ciampa a Palermo, a riscattare i gioielli che la signora Fiorica aveva messo in pegno per dare i soldi al fratello.
Nel frattempo, Beatrice sporge denuncia al delega­to Spanò, amico di famiglia, che invano cerca di dissuaderla; con questa denuncia fa cogliere in flagrante adulterio suo marito e la signora Ciampa.
L’arresto dei due amanti scatena una vera e propria tempesta in famiglia: la madre Assunta e il fratello di Beatrice la rimproverano violentemente, accusandola di non essersi resa conto delle conseguen­ze catastrofiche del suo atto, che provocando uno scandalo, ha gettato il discredito sull’intera famiglia.
È necessario, ora, correre ai ripari: il delegato Spanò farà in modo di dimostrare che fra i due non v’è alcun rapporto; questo rimedio va bene a tutti ma non a Ciampa, il quale si crede certo che la gente non crederà a una soluzione così accomodan­te.
Ciampa accusa animosamente la signora Beatrice, dicendole di aver agito per esercitare la sua vendetta senza pensare a lui e al suo onore; l’accusa di aver preso il suo pupo, di averlo calpestato e di avergli imposto il cappello a sonagli, il ridicolo cappello da buffone.
Per riconquistare la stima del paese Ciampa sarà costretto ad ammazzare sua moglie e il cavalier Fiorica. Tra l’agitazione di tutti una soluzione possibile gli riaffiora alla mente: l’unico modo per salvare la faccia, sua, di sua moglie e del suo superiore è che la signora Beatrice risulti pazza.
La folle sarà così immediatamente ricoverata in una casa di cura. Vi si tratterrà due o tre mesi, poi tornerà ritrovando tutto a posto come prima. La madre, il fratello, il delegato amico, tutti aderiscono a questa soluzione che, per ristabilire l’ordine apparente sacrifica l’unica persona che dice la verità.

Marco Vergottini
PERCHÉ LEGGERE “BERRETTO A SONAGLI”
Consiglio di leggere il «Berretto a sonagli» di Luigi Pirandello, perché tragicamente mette in scena uno spicchio di mondo improntato all’ipocrisia e al falso perbenismo: “certe cose” si possono anche fare, ma con la massima discrezione e a condizione che non siano mai rivelate… a meno che, chi lo faccia, non sia un pazzo, uno che si mette sul capo un berretto a sonagli. Nel passaggio della rappresentazione Ciampa (il "cornuto" realista) dice a Beatrice (la "cornificata" ribelle) che ci sono tre corde d’orologio a cui poter attingere: quella seria, quella civile e la pazzia. E paradossalmente - secondo Pirandello - «verità» fa rima proprio con «pazzia» …


*** Per Leonardo Sciascia, Il berretto a sonagli, costituisce «la più perfetta commedia di Pirandello».


venerdì 13 luglio 2018

Prima di leggere Anna Karenina: Vita di Tolstoj, Romain Rolland


Questa volta l'ho presa larga: prima di dedicarmi ad "Anna Karenina", ho pensato di leggere "Vita di Tolstoj" di Romain Rolland (premio Nobel per la letteratura nel 1915 nonché, fin dalla sua adolescenza, appassionato ammiratore dello scrittore russo); un piccolo e impolverato testo edito da Rizzoli nel 1951, venduto all'epoca al costo di "LIRE CENTOQUARANTA" (scritto proprio così, in stampatello maiuscolo sul retro di copertina!) ed approdato per caso nella mia libreria qualche mese fa, recuperato da una di quelle cassette che mettono a disposizione i libri per chiunque li voglia leggere. Stavo solo aspettando il momento giusto!

Fra tutti coloro - e sono numerosi in Francia - per i quali Tolstoj fu, ben più di un artista amato, un amico, il migliore, e, per molti, il solo amico vero in tutta l'arte europea, io ho voluto recare a questa memoria sacra il mio tributo di riconoscenza e di amore. 



In particolare, vorrei condividere con voi la scoperta di quanto la moglie Sonia sia stata importante per la produzione letteraria di Tolstoj; forse, senza il suo sostegno, "Guerra e pace" e "Anna Karenina" non avrebbero raggiunto la maestosità letteraria che accomuna questi capolavori.


Sof'ja Andrèevna Bers moglie di Tolstoj
(Fonte: http://www.wikiwand.com/it/Sof%27ja_Tolstaja)
Sòf'ja Andrèevna Bers (detta anche Sonia) entra nella vita dell'autore in un forte momento di crisi e per quasi quindici anni, riesce a portare pace nell'animo tormentato di Tolstoj, sostenendo e assecondando in tutti i modi possibili il genio dello scrittore:

Più avanti, narrò in Anna Karenin come aveva fatto la sua dichiarazione a Sofia Bers e come lei gli aveva risposto, disegnando tutt'e due col gesso, su una tavola, le iniziali delle parole che non osavano dire.
Come Levin in Anna Karenin, egli ebbe la crudele lealtà di consegnare il suo Diario intimo alla fidanzata, perché non ignorasse nulla delle sue vergogne passate; e, come Kitty in Anna, Sofia ne risentì un amaro dolore.

Il matrimonio fra i due innamorati avviene il 23 settembre 1862 (Sonia è diciottenne e Lev ha trentaquattro anni), in un momento in cui Tolstoj si sente particolarmente stanco, insoddisfatto di sé e della propria vita. 
L'influenza personale della contessa Tolstoj fu preziosa per l'arte. Fornita di buone doti letterarie, ella era, come dice, "una vera moglie di scrittore", tanto si prendeva a cuore l'opera del marito. Lavorava con lui, scriveva sotto la sua dettatura, ricopiava le sue minute. Cercava di difenderlo contro il suo demone religioso, questo temibile spirito che già alitava a tratti, la morte dell'arte. Cercava che la sua porta fosse chiusa alle utopie sociali. Rinfocolava in lui il genio creatore. Fece di più: recò a questo genio la ricchezza nuova della sua anima femminile.  
E ancora:
Piace credere che la contessa Tolstoj non sia servita a suo marito di modello soltanto per Natascia, in Guerra e pace, e per Kitty, in Anna Karenin, ma che, per mezzo delle sue confidenze e della sua propria visione, abbia potuto essergli preziosa e discreta collaboratrice. Certe pagine di Anna Karenin mi sembrano rivelare una mano di donna.
Grazie al beneficio di questa unione, Tolstoj godette, per dieci o quindici anni, una pace e una sicurezza che da lungo tempo gli erano ignote. Allora poté, sotto l'ala dell'amore, sognare e creare a suo agio i capolavori del suo pensiero, monumenti colossali che dominano tutto il romanzo del sec. XIX: Guerra e pace (1864-1869) e Anna Karenin (1873-1876).
La figura della moglie rimane comunque controversa, c'è chi si schiera contro e chi a suo favore.
Ho trovato molto interessante la biografia di Sonia su Wikipedia: se non avete tempo o desiderio di leggerla, vi consiglio di seguire comunque il link e dare un'occhiata alle numerose foto che trovate oltre a questo delizioso filmato d'epoca girato da Aleksandr Osipovič Drankov:





martedì 10 luglio 2018

Un libro del cuore: Sorelle Materassi, Aldo Palazzeschi

L'anno scorso avevamo dedicato un incontro del gruppo lettura ai nostri "libri del cuore": ognuno di noi avrebbe fatto conoscere agli altri partecipanti all'incontro un libro (non forzatamente il preferito) al quale si sentiva particolarmente legato.

Uno di quei romanzi insomma che, non appena letti, ci si appendono al cuore e ci rimangono dentro, sospesi a oscillare fra i nostri pensieri e far vibrare corde di intimi sentimenti: una frase, un personaggio, un messaggio particolare... qualcosa in quel libro rimane dentro e non se ne va più.

Oggi Katia ci parla del suo libro del cuore: "Sorelle Materassi" di Aldo Palazzeschi.
Buona lettura!


Foto scattata da Katia N. - 7 luglio 2018


TRAMA
Il romanzo ruota attorno alle sorelle Teresa, Carolina, Giselda e alla loro serva Niobe. Teresa e Carolina, cinquantenni e zitelle, sono abili ricamatrici. Con loro vive Giselda, più giovane di una quindicina d'anni, separata. Una quarta sorella, Augusta, è morta e ha lasciato da allevare un figlio, il giovane Remo, che tanto somiglia al defunto nonno materno, scialacquatore. Ed è proprio l'arrivo di Remo in quella casa dove le sorelle trascorrono le giornate da sepolte vive a portare scompiglio, soprattutto perché Remo si approfitterà del fascino che ha sulle donne portandole, da una situazione di benessere, alla rovina economica.

PERCHÉ LEGGERE “SORELLE MATERASSI”
Questo romanzo è ben scritto, scorrevole, di facile lettura. Pochi sono i personaggi, semplice è la trama, brevi i dialoghi, lievi le descrizioni. Nel paese dove è ambientato (Santa Maria a Coverciano, a pochi chilometri da Firenze) le vicende di queste zitelle di provincia avvincono e convincono dalla prima all'ultima pagina. Con raffinata sagacia, Palazzeschi tratteggia figure umane indimenticabili: pochi come lui riescono a darci un'idea del personaggio attraverso un gesto, uno sguardo, una battuta.
Il paese di Coverciano, in quella provincia toscana di inizio Novecento, è un piccolo mondo, dove ironia e tragedia si intersecano in maniera mirabile: pur trattandosi di una storia tragica, si sorride parecchio di fronte alle miserie e alle fragilità umane, a cui l'autore pare guardare con occhio divertito e compassionevole insieme.
Non si può non affezionarsi alle sorelle Materassi fin da subito, fin da quando Teresa e Carolina ci vengono presentate come zitelle che, essendo ricamatrici eccezionali, si trovano – ironia della sorte – a dover cucire corredi da spose: un lavoro che scandisce le loro giornate sempre uguali. E poi c'è Giselda, la sorella – ahimè – separata, che a star con loro diventa preda di una grigia e spenta quotidianità.
Si prova pena e tenerezza insieme nel guardare queste donne arrabbiate col mondo intero, a tratti un po' macchiette, ma così segretamente desiderose di affetto, fragili sotto quella maschera di austerità.
Non c'è un amore per loro, eppure proprio l'amore per Remo (in cui di volta in volta vedono tutte le figure maschili a loro negate: un amante, un marito, un padre, un fratello, un figlio) le porterà a perdere ogni cosa.
Leggere questo romanzo significa imbattersi in una storia dai toni familiari, pungente e schietta, stilisticamente notevole, brillante, dove la tragedia incombe ma non si perde per questo il sorriso. Aggiungerei anche che si tratta di una storia moderna, perché anche se quell'epoca non esiste più, i temi trattati sono attuali: l'opportunismo e la meschinità di carattere, la debolezza del cuore umano, l'illusione della ricchezza, il cinismo di chi colpisce le persone più ingenue e non se ne fa scrupolo, solo per citarne alcuni, sono ben presenti nell'odierna società.
Palazzeschi è un autore troppo spesso dimenticato, ma degno di essere riscoperto: se amate il genere, questo libro vi toccherà il cuore, anche solo per la prosa perfetta, un omaggio, direi, alla nostra bella lingua troppo spesso bistrattata.

Per un assaggio dell'abilità di scrittore di Palazzeschi, ecco di seguito un piccolo estratto, riferito a quando nel romanzo si parla di Teresa e Carolina che, ogni domenica, infiocchettate ed incipriate (o, per usare i termini dell'autore: infarinate come pesci da friggere), si mettono alla finestra che dà sulla pubblica via a guardare le coppie che passano:


Qual era l'argomento dei loro discorsi? Per qualunque altra coppia di zitelle sarebbe facile indovinare, ma per queste, chi lo potrebbe dire? Ebbene, lo credereste mai, anche stavolta l'enigma è facile da risolvere, l'argomento era l'amore anche per queste (…).La verità si è che tutte e due conoscevano gli uomini per sentito dire, per il più vago e lontano sentito dire. Non era facile, mi penso, trovarne altre che li conoscessero meno.Passavano stringendosi come per freddo le coppiette, ed erano calde a bollore; si stringevano quasi non bastasse mai il calore anche nel colmo dell'estate. Tutti davano uno sguardo fugace alle due donne che eseguivano il loro esame senza incertezze trovando, generalmente, le femmine brutte, antipatiche, e vestite male. Erano invece indulgenti coi maschi, disposte a riconoscerne le qualità del corpo e della faccia, del modo di camminare, e magari degli occhi solamente, dei denti, dei capelli, della voce, la quadratura delle spalle o il vestito tagliato bene. E quello che rimaneva loro inspiegabile sempre, un vero e proprio mistero, si è che un bel giovane, o almeno simpatico, o almeno elegante, avesse potuto innamorarsi di una gestrosa, di una smorfiosa, di un bastone vestito, di un viso vieto, di una bocca piallata, di un trabiccolo, di una faccia da cattiva e dispettosa. (...) Con le donne erano spietate. Anche se belle o carine, un difettaccio glielo volevano trovare per schiacciarle, diminuirle, ridurle in polvere: dovevano essere almeno cattive. E pensare che erano costrette a cucir loro le camicie e le mutande...

P.S.: Per gli appassionati, esiste l'audio-libro, oppure ci si può collegare al sito Radio Rai3 per ascoltare le tracce audio: in entrambi i casi, il romanzo viene magistralmente letto da Paolo Poli.

giovedì 5 luglio 2018

Fermento di luglio, Erskine Caldwell

In questa calda giornata di luglio, ospito la recensione di un libro che ha tutta l'aria di essere una buona lettura estiva: nonostante il lato drammatico, la vicenda e la scrittura di questo romanzo scorrono che è un piacere. Parola di bibliotecaria!
Grazie a Letizia per la bella recensione (aggiungo subito il titolo alla lista dei libri da leggere).



Stati Uniti, Georgia, anni ’40 del Novecento. Luglio.

Lo sceriffo Jeff McCurtain è alle prese con un caso non così raro da quelle parti ma che rischia di rovinargli la carriera.
Da che parte stare?
Dalla parte del giudice Ben Allen che può assicurargli un gran numero di voti?
Dalla parte di Shep Barlow, che vuole farsi giustizia da solo? E come dargli torto dopo quello che dicono sia successo a sua figlia?
Dalla parte di Bob Watson, il più ricco proprietario terriero, che minaccia di togliergli l’appoggio se dà retta a quegli ubriaconi che non hanno niente di meglio da fare che andare in giro a dare la caccia a un disperato che lavora per lui e guai a chi lo tocca?
E poi c’è Narcissa Calhoun con quella stramaledetta petizione che si è messa in mente di fargli firmare.
Aveva ragione Corra, la sua adorata Corra: la cosa migliore è sparire per qualche giorno. Andare al Lord’s Creek a pescare.
E mentre lo sceriffo McCurtain vaga tra la paura e l’indecisione, il paese è in fermento.
Dove sta la verità?
C’è una ragazza che dice di essere stata violentata.
C’è un ragazzo che da allora non si fa più trovare.
C’è chi è sicuro che le cose non possono che essere andate così.
C’è chi dubita ma tace.
E c’è chi tace perché non può parlare.

Un storia che è un pezzo di storia d’America di non molti anni fa con qualche spunto per un oggi che a tratti sembra così vicino a quel tempo lì.

domenica 1 luglio 2018

Un borghese piccolo piccolo: ancora qualcosa da dire

Come vi avevo anticipato in questo post, durante l'ultimo incontro del gruppo lettura (a settembre ci vedremo per parlare di Anna Karenina, L. Tolstoj), ci siamo confrontati sull'opera di Vincenzo Cerami "Un borghese piccolo piccolo".

Il romanzo è piaciuto a tutti i lettori presenti alla serata anche se la crudezza dei suoi personaggi e della storia ben narrata ha gelato un poco gli animi e reso difficile se non impossibile provare trasporto per la sorte del suo protagonista.

Sia che lo abbiate letto sia che ne siate rimasti incuriositi, consiglio in ogni caso di leggere questa interessante recensione (grazie a Marco che l'ha trovata!) pubblicata sul blog CriticaLetteraria.

Trovo accuratissima la considerazione di Italo Calvino (Certo... è Calvino!):
Una storia d'impiegati ce la aspetteremmo grigia e povera di fatti e prevedibilmente caricaturale: invece qui di fatti ne succedono parecchi, e dei più romanzeschi: da un'incongrua cerimonia d'iniziazione massonica a una cruenta irruzione nella cronaca nera quotidiana, a un'allucinata, truce vendetta. Ma anche i fatti, appena successi, vengono inghiottiti dalla sorda, vischiosa continuità dell'esistere.

Mossa da curiosità, dopo aver letto il libro ho guardato il film omonimo di Monicelli tratto dal romanzo di Cerami.

Quasi fedele al testo letterario, la pellicola ne rispecchia esattamente l'atmosfera e trasmette quel sentimento di scoramento nell'osservare così da vicino gli ingranaggi di una società borghese in cui i singoli si muovono solo per interessi personali.  
Nella trasposizione cinematografica il personaggio del figlio viene maggiormente ridicolizzato, nel libro invece rimane più in disparte e indefinito.
Perfetta l'attrice Shelley Winters nei panni della moglie di Giovanni Vivaldi e fantastico Alberto Sordi che riesce a trasmettere il dramma e l'ironia di questa storia. 

In ogni caso, vi consiglio di guardare anche il film!