martedì 5 giugno 2018

L'aggressività femminile, Marina Valcarenghi

A Padova, sul muretto che circonda la Basilica di Sant'Antonio, mi sono seduta e ho terminato di leggere questo bel saggio: scheda del libro e dettagli.



Non si tratta sicuramente di una lettura semplice, ma molto affascinante. Anche la stesura di questo articolo, devo ammetterlo, è risultata più complicata del previsto, dato che il libro offre davvero mille spunti di riflessione. Mi è piaciuto il tema affrontato perché mi ha introdotto al concetto di psicologia sociale, che non conoscevo, e alla scoperta di alcuni tratti della mia personalità che, a quanto pare, sono comuni a molte donne (forse tutte?!).


L’aggressività

Partirei dal titolo, per chiarire subito l’equivoco che può nascere dal termine “aggressività”. In questo volume, l’autrice intende per aggressività “quell'istinto che guida a riconoscere, ad affermare e a proteggere la propria identità” e non, come si intende nel linguaggio corrente, l’impulso che spinge ad aggredire lo spazio altrui.

A grandi linee:
✽ Aggressività ⟶ Ho fame, mangio una mela.
✽ Aggressione ⟶ Ho fame, rubo la mela ad un'altra persona.

Nella realtà, il confine tra violenza e autodifesa è davvero labile. Vivendo in una società, il nostro impulso aggressivo viene sovente controllato (o dovrebbe esserlo) da codici etici di comportamento e dalla coscienza individuale. Tornando all'esempio precedente:

✽ Limitazione dell’aggressione ⟶ Ho fame, chiedo ad una persona se divide con me la sua mela.
L’aggressività umana è malata e oscilla fra due poli altrettanto distruttivi, la repressione o la rimozione da una parte e l’aggressione dall'altra o, in altre parole, fra l’incapacità di difendere il proprio territorio e l’incapacità di riconoscere il territorio altrui.

La repressione dell’aggressività femminile e sue conseguenze

Secondo l’autrice, nei secoli si è verificata una soppressione dell’istinto aggressivo in tutte le donne; un istinto che in tempi molto lontani ebbe probabilmente libertà di espressione, insieme ad un modo tutto femminile di stare al mondo.
Io non riesco, io non posso, io non ho il coraggio, io ho paura, io mi vergogno, io non sopporto, io non ho il diritto… L’analisi delle donne, è attraversata da questa impotenza, nelle sue forme più svariate.  
Altre donne mi comunicano con fierezza comportamenti apparentemente aggressivi: (…) In questi casi si esterna, ma non ci si difende; infatti la situazione non cambia o peggiora.
Ho avuto modo di osservare come il deficit aggressivo si associ spesso a manifestazioni chiassose, a comportamenti collerici, in certi casi persino violenti. Per questo motivo molte donne si sentono giudicate aggressive e credono esse stesse di esserlo, mentre reagiscono in modo scomposto e inefficace alla loro impotenza.

Perché, in tempi lontani, quando ancora esisteva in Europa un'organizzazione matriarcale della società, l’aggressività femminile venne repressa? Probabilmente per necessità evolutiva, teorizza l’autrice, un comportamento istintuale messo in atto inconsciamente per la salvaguardia della specie.

Ovviamente il blocco di un istinto porta a delle conseguenze, sia a livello individuale sia a livello sociale, soprattutto quando, come in questo caso, la repressione si è protratta nei secoli (almeno fino a qualche decennio fa). Ecco cosa si può manifestare:
  • la repressione del desiderio → il deficit aggressivo rende difficile riconoscere i propri desideri;
  • l’abitudine → l’istinto si abitua a non esprimersi e si adegua alla non-espressione;
  • il senso di colpa;
  • l’insicurezza;
  • l’autoaggressività → quando l’aggressività istintiva non trova sbocchi, può implodere;
  • l’aggressività vicariata → quando l’aggressività istintiva sfocia in un ambito dove si possa manifestare (ad es. nella cura eccessiva dei familiari);
  • I sintomi di carattere depressivo – come ad esempio il vittimismo, l’autosvalutazione, l’autocommiserazione –  e maniacale – invidia maligna, isteria, iperattivismo, ecc.
Marina ValcarenghiL'aggressività femminile, Bruno Mondadori, Milano 2008

Conclusioni

La rimozione dell’istinto aggressivo femminile, necessaria in tempi remoti, ora non lo è più. Dalla metà del secolo scorso, le donne stanno cercando di riprendere il loro potere, ma muovendosi in una società con regole e consuetudini create dagli uomini per gli uomini.
In questo modo si ottiene solo che le donne assomiglino sempre di più agli uomini e che progressivamente si vada verso l’egemonia di un catastrofico genere neutro di cui si cominciano a intravedere i sintomi.
Il genere neutro potrebbe nel tempo costituire il punto d’arrivo di un’informe aspirazione all'uguaglianza sessuale che si vede serpeggiare nella nostra cultura sia politica, sia aziendale, sia multimediale.

Devo dire che mi trovo particolarmente d’accordo con le parole dell’autrice. Il genere neutro cosi come si prospetta rischia di non soddisfare nessuno: sarebbe un peccato se le donne dovessero rinunciare ad esprimere tutti quei talenti femminili che fino ad oggi, senza la spinta ed il sostegno dell'istinto aggressivo femminile, sono rimasti sommersi.
Sarebbe davvero arrivato il tempo di restituire riconoscimento e autorità all'intelligenza femminile, alla sua sapienza e all'energia aggressiva in grado di gestirla. 

Se desiderate avere approfondimenti su qualche tema appena sfiorato, lasciate un commento o contattatemi! Affronterò in maniera più dettagliata l’argomento.

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